Disciplina e Inquietudine

LA PITTURA DI ENZO PRESTILEO

AUTORE: Armando Audoli

Marina della Lobra, e poi, un po’ più su, Massa… Massa ad delubrum: al tempio, teatro del sacro. Teatro caro ad Atena, in terra di pescatori e sibille; teatro dal plurimillenario genius loci e dai plurimillenari olivi, affacciato su un mare azzurro di cielo e verde di sirene!

Bagnata dalla luce speciale di Massa Lubrense e lumeggiata dal salmastro, quella di Enzo Prestileo è una pittura che spiazza: sembra iperrealistica, ma se si verifica il tasso di realismo nel dettaglio preciso, nel particolare “vero” quanto il vero, si rimane delusi e stupiti, a bocca aperta; sembra rigorosamente figurativa, ma nasconde una pura tensione idealizzante, la superba destrezza di chi sa rubare l’essenza di un soggetto, assoggettandolo e trasfigurandolo attraverso la reinvenzione pittorica della sua stessa forma esteriore; si mostra compatta (attenzione a non fraintenderla in chiave fotografica!), ma è tutta fremente d’infiniti tocchi; sembra una pittura fredda e razionale, ma – a ben distinguere – è come una visione medianica e colorata, come un’immaginazione sospesa tra abissi inconsci e desto osservare, come una traduzione lirica (ad alta densità poetica) delle ossessioni, delle idiosincrasie e delle passioni del suo sofisticato artefice. E può parere – ancora – un antico esercizio di stile, il dipingere di Prestileo, quasi completamente libero da riferimenti attuali e ancorato qual è alla dimensione artigianale dell’opera d’arte; questa, concepita e realizzata alla stregua di prezioso objet d’art, ribadisce il primato della forma e torna a essere un manufatto sopraffino, che (volendo) contiene anche un’idea: e non solo un presuntuoso concetto astratto (sacrificato nell’anima e nel corpo), disincarnato, velleitario nel negare con ostinazione e prevaricante prepotenza le ragioni di un adeguato virtuosismo tecnico. Si tratta di un dipingere moderno nell’intimo (col suo intimo tremare), di un tramare variopinto, isolato per ostinata vocazione dal confuso panorama artistico d’oggi, e inteso a declinare qualche eterna cadenza di un’anima moderna: la perdita di un affetto, la paura e lo smarrimento nella solitudine, l’amore per un figlio, il sentimento struggente del passato, il dubitare continuo, l’inondare di luminosità sorrentina l’ombra della morte, l’ammirare estetico un’agave o un limone (un fico d’india, un grappolo d’uva o una conchiglia), il contemplare estatico un corpo femminile, il sentire leggero un piacere, il presentire un dolore...

Prestileo, interpretando a proprio modo la lunga tradizione figurativa occidentale, si lascia disinvoltamente alle spalle la novecentesca polemica – sempre, comunque, dialettica – su tradizione nata e morta, e su avanguardia nata morta; egli dissente, con radicale determinazione, in solitudine: non dialoga che con sé stesso (e con i propri fantasmi), e opera con disciplina.

Concentrata disciplina. La pennellata non è mai fluida, distesa, sciolta: ha il pulsare vitale di uno “staccato” meticoloso, ammorbidito con estro e ispirazione. La superficie dei quadri di Prestileo non s’increspa mai per una voluta irregolarità, per uno scatto improvviso o per un guizzo incontrollato del gesto che si libera; il nervosismo, implicito a ogni sensibilità artistica, è trattenuto nel tocco compulsivo e vibrante del piccolo pennello, condensato nella misura minima di minime pennellate che carezzano la tela o la tavola, che distribuiscono il colore susseguendosi con fermezza e suprema costanza: pennellate esatte, però tremanti – dentro – d’irrequietezza.

Il disegno costituisce appena una traccia, uno scheletro strettamente indispensabile alla composizione; la pittura è tutto: una visione del mondo. Il demone di Prestileo è un demone di colorista, segnato da nette idiosincrasie (si diceva), da inflessibili urgenze, tradite – ad esempio – dall’alta selezione qualitativa dei materiali impiegati e dalla scelta maniacale nell’uso delle tinte: i colori adoperati sono, senza eccezione, quelli primari, mescolati con perizia per ottenere scarti intonati e giuste gradazioni; mai sporcati. Il nero è bandito.

“In natura non vedo il nero, vedo piuttosto lo scuro” dice Enzo, con un’espressione misteriosa da alchimista sussurrante un qualche indicibile segreto, velata da un sorriso appena di labbra. E sulla sua insofferenza nei confronti del nero ci sarebbe da indagare e divagare, avendo il coraggio di spingersi in profondità amniotiche troppo lontane e indiscrete, troppo arcane. Nere, appunto.

Già, nero e natura: nero femminile, uterino. Torbido nero prenatale; nero biologico, ciclico; immobile nero inconscio: “I cicli della natura sono i cicli della donna. Biologicamente, la femmineità è una sequenza di ritorni su sé stessa, che ha un unico punto di partenza e di arrivo. La centralità della donna le dà una stabilità d’identità. Essa non ha da divenire, ma solo da essere. La sua centralità è un grosso impedimento per l’uomo, di cui essa blocca la ricerca d’identità. Egli deve tramutarsi in un essere indipendente, cioè in un essere libero da lei. Se non lo farà, ricadrà semplicemente su di lei. Il ricongiungimento con la madre è un richiamo di sirena che ossessiona la nostra immaginazione. Allora c’era perfetta letizia, oggi c’è lotta. Il ricordo confuso della vita precedente la separazione traumatica della nascita potrebbe essere all’origine delle fantasticherie arcadiche di una perduta età dell’oro. L’idea occidentale della storia come di un movimento proiettato verso il futuro, di un piano provvidenziale o di progresso che culmina nella rivelazione di un secondo avvento, è una elaborazione tutta maschile. Nessuna donna, a parer mio, avrebbe potuto elaborare un’idea simile, che altro non è se non una strategia di evasione dalla stessa natura ciclica della donna, in cui l’uomo ha il terrore di restare irretito. La storia, nella sua versione evolutiva o apocalittica, è una lista di desideri maschili a lieto fine: un’impennata fallica”.

Formalistica e gerarchica, concettualizzante e intellettualmente rapace, ordinata e mai ordinaria, tutta l’arte è un’impennata fallica, un’ossessione maschile: la succitata chiosa di Camille Paglia – una miscela di Darwin, Frazer e Freud – ci suggerisce un’ipotesi su quali siano le effettive pulsioni interiori per cui un uomo dotato di talento possa sentire il bisogno impellente e bruciante di filtrare la realtà, prolungandone vita e principi in una nuova superficie, resa per mezzo di amorevoli e disciplinate apposizioni di colore (nero escluso).

Il lavoro di Prestileo aderisce alla realtà solo per stretta necessità visiva, per avere un punto d’appoggio a cui riferirsi, un involucro da citare con precisione esterna e, al contempo, inerente per sommi capi al proprio contenuto convenzionale. E se tali capi vengono dall’artista riferiti con sorvegliata dedizione tecnica alla tenuta formale del discorso, è perché egli sa che – riportando un discorso altrui – non si deve assolutamente trascurare la grammatica e la sintassi; soprattutto se si ha come scopo latente il trascendere canoni e regole, per riuscire poi a parlare – una buona volta – d’altro. Tanto si parla sempre d’altro: “Vogliamo capire o no che il discorso non appartiene all’essere parlante!”, era solito insinuare Carmelo Bene, erede di Saussure, seguace di Lacan e amico di Derrida. E soggiungeva: “Noi non parliamo, siamo parlati”. La realtà oggettiva è un discorso altrui, una retorica che non apparterrà mai completamente né a noi, né al pittore che tenta di ricrearla: Prestileo la dipinge (la riferisce) a modo suo, condensandola in forme verosimili, assonanti al vero secondo un rimando attento all’idea di verità, secondo un raccordo finito nella dicitura, ma indefinito nell’essere. Prestileo sa bene quanto il bello poco si concili con la verità; e allora mente in forme proporzionate, attendibili. Abbellisce mentendo e mente trasfigurando. E stupisce: altera il visibile di quel tanto (un tanto che a volte è pochissimo) da approssimarlo – per eccesso – all’invisibile. Ripristina l’arcana misteriosità esteriore della bellezza. Affascina con il carisma sensuoso delle forme, nascondendo il mistero in superficie. Sulla superficie della pittura, specchio non del reale, ma della sua idea.

Un’idea del reale, dunque, ad ammantare una poetica: così un sec chio contenente due limoni ci racconta di un passato, di un’infanzia lontana; e, pure, lo stesso secchio con gli stessi limoni, appoggiati su un ceppo che ricorda un capitello greco, si fa sentire carico di rimembranze; così un bambino, raggomitolato in posizione vagamente fetale, ci strugge con un’eco di maternità perduta; una giovane donna assorta, appollaiata su una sedia, non ci guarda e tace l’irreversibile mistero di un altrove (ha perduto o è perduta? non siamo lontani dall’atmosfera laconica di un film di Atom Egoyan); le molte crepe di un vecchio vaso parlano del tempo e della corruzione; il verde squillante di un fico d’india ci distrae, con un richiamo shocking, ai limiti del pop; rosseggia una rosa, biancheggia un giglio: essi non sfioriranno nel loro tempo sospeso; un’agave in primo piano – ferita e offesa – geometrizza lo spazio, innanzi alla leggera increspatura del mare; il lampo di genio d’uno spettacolare autoritratto in jeans (l’unica opera contenente un esplicito riferimento alla contemporaneità) presenta – in sottofondo, quasi in sordina – l’evanescente e circoscritto universo degli affetti famigliari del pittore; alla chiara luce del mattino, una ciotola bianca, sopra una bianca stoffa, è giusto il pretesto per sfoggiare un prodigioso virtuosismo di candida eleganza (sic et simpliciter); infine, una fanciulla nuda, stesa in abbandono, dorme sognante (o mima un triste presagio d’inconsapevolezza e di oblio dell’io?).

Ipotesi, suggestioni, spunti… Una poetica, ammantata da un’idea del reale: la poetica di un artista che, in quanto tale, è un poco certosino e un poco veggente. Enzo Prestileo porta davvero in sé una strana commistione di volontaria disciplina d’asceta e di alogica (incontrollata) veggenza. I suoi lavori più inquieti, al di là delle riflessioni di ordine tecnico ed estetico accennate in principio, tendono a provocare, in uno spettatore aperto e ricettivo, brividi sottili, emozioni serpeggianti nelle sfere ombrose dell’incoscienza: giù, dove tutto si confonde e non ha nome. Sarà un ricordo evocato o il fermento di una premonizione? L’artista, quasi un mago, ci stupisce con la sua bravura nel “rifare” oggetti, persone e paesaggi, che d’incanto – all’improvviso – si materializzano ai nostri occhi, lasciandoci un indefinibile senso di smarrimento e soddisfazione.

Un goccio di smarrimento, un profluvio di soddisfazione: e in effetti, bagnati dalla luce speciale di Massa e lumeggiati dal salmastro, sono belli, scopertamente belli, i lavori di Prestileo. Ma questo, oggi, può essere ancora, per molti, quasi un fastidio.

Discipline and Concern

AUTHOR: Armando Audoli

 

Bathed by the special light of Massa Lubrense and highlighted by the brackish, that of Enzo Prestileo is a painting that displaces: it seems hyperrealistic, but if you check the rate of realism in precise detail, in the detail "true" as true, you will be disappointed and amazed, open mouthed; it seems rigorously figurative, but hides a pure idealizing tension, the superb dexterity of those who know how to steal the essence of a subject, subjecting it and transfiguring it through the pictorial reinvention of its own external form; it appears compact (be careful not to misunderstand it in a photographic key!), but it is all quivering with infinite touches; it looks like a cold and rational painting, but - to distinguish it clearly - it is like a mediumistic and colorful vision, like an imagination suspended between unconscious abysses and quick to observe, like a lyrical translation (with high poetic density) of obsessions, idiosyncrasies and passions of its sophisticated architect. And it may seem - again - an ancient exercise in style, the painting of Prestileo, almost completely free from current references and anchored as it is to the artisan dimension of the work of art; this, conceived and created in the same way as a precious objet d'art, reaffirms the primacy of form and returns to being a superfine artifact, which (if desired) also contains an idea: and not just a presumptuous abstract concept (sacrificed in the soul and in the body), disembodied, unrealistic in stubbornly denying and prevaricating arrogance the reasons for an adequate technical virtuosity.

It is a modern painting in the intimate (with its intimate trembling), a colorful plotting, isolated by obstinate vocation from the confused artistic panorama of today, and intended to decline some eternal cadence of a modern soul: the loss of a affection, fear and bewilderment in solitude, love for a child, the poignant feeling of the past, the continuous doubting, the flood of Sorrento's brightness with the shadow of death, the aesthetic admiration of an agave or a lemon ( a prickly pear, a bunch of grapes or a shell), the ecstatic contemplation of a female body, the light feeling of a pleasure, the presentation of pain ... Prestileo, interpreting the long Western figurative tradition in his own way, casually leaves behind the twentieth-century controversy - always, however, dialectic - on tradition born and died, and on avant-garde born dead; he dissents, with radical determination, in solitude: he dialogues only with himself (and with his own ghosts), and works with discipline. Concentrated discipline. The brush stroke is never fluid, relaxed, loose: it has the vital pulse of a meticulous "staccato", softened with inspiration and inspiration. The surface of the paintings by Prestileo never ripples due to a deliberate irregularity, a sudden snap or an uncontrolled flicker of the gesture that is released; the nervousness, implicit in any artistic sensibility, is retained in the compulsive and vibrant touch of the small brush, condensed to the minimum extent of minimal brush strokes that caress the canvas or the board, which distribute the color following one another with firmness and supreme constancy: exact brush strokes, however trembling - inside - of restlessness. The drawing is just a trace, a skeleton strictly indispensable to the composition; painting is everything: a vision of the world. The Prestileo demon is a colorist demon, marked by clear idiosyncrasies (it was said), by inflexible urgencies, betrayed - for example - by the high quality selection of the materials used and by the obsessive choice in the use of colors: the colors used are , without exception, the primary ones, mixed with skill to obtain matching scraps and the right gradations; never dirty. Black is banned.

"In nature I don't see black, I rather see dark" says Enzo, with a mysterious expression as an alchemist whispering some unspeakable secret, veiled by a smile with only a few lips. And on his intolerance towards black we would have to investigate and digress, having the courage to go too far and indiscreet, too arcane amniotic depths. Black, in fact. Yes, black and nature: feminine black, uterine. Prenatal black turbidity; biological black, cyclic; unconscious black motionless: “The cycles of nature are the cycles of woman. Biologically, femininity is a sequence of returns to itself, which has a single point of departure and arrival. The centrality of the woman gives her identity stability. It does not have to become, but only to be. Its centrality is a major impediment for man, whose search for identity he blocks. He must turn into an independent being, that is, into a being free from her. If he does not, it will simply fall on her. Reuniting with the mother is a siren call that haunts our imagination. Then there was perfect joy, today there is struggle. The confused memory of the life before the traumatic separation of birth could be at the origin of the arcadian fantasies of a lost golden age. The western idea of history as a movement projected towards the future, of a providential plan or of progress that culminates in the revelation of a second advent, is an entirely masculine elaboration.

No woman, in my opinion, could have elaborated a similar idea, which is nothing but a strategy of escape from the same cyclical nature of the woman, in which the man is afraid of being ensnared. The story, in its evolutionary or apocalyptic version, is a list of male wishes with a happy ending: a phallic surge ". Formalistic and hierarchical, conceptualizing and intellectually rapacious, orderly and never ordinary, all art is a phallic surge, a male obsession: the aforementioned comment by Camille Paglia - a mixture of Darwin, Frazer and Freud - suggests a hypothesis on what are the actual inner impulses for which a talented man can feel the urgent and burning need to filter reality, prolonging its life and principles in a new surface, rendered by means of loving and disciplined color combinations (black excluded).

Prestileo's work adheres to reality only out of strict visual necessity, to have a foothold to refer to, a wrapper to be mentioned with external precision and, at the same time, inherent in its entirety to its conventional content. And if these garments are referred to by the artist with supervised technical dedication to the formal keeping of the speech, it is because he knows that - by reporting someone else's speech - the grammar and syntax must not be neglected; especially if you have as a latent purpose to transcend canons and rules, to then be able to speak - once again - on the other. There is always talk of something else: "We want to understand or not that the speech does not belong to being a speaker!", Carmelo Bene, heir of Saussure, a follower of Lacan and friend of Derrida, used to insinuate. And he added: "We don't speak, we are spoken". Objective reality is someone else's speech, a rhetoric that will never completely belong to us, nor to the painter who tries to recreate it: Prestileo paints it (refers it) in his own way, condensing it into plausible forms, assonant to the truth according to a careful reference to the idea of truth, according to a connection finished in the wording, but indefinite in being. Prestileo knows well how much beauty is reconciled with truth; and then lie in proportionate, reliable forms. It beautifies by lying and transfiguring mind. And it amazes: it alters the visible of that much (a little that is sometimes very little) to approximate it - by excess - to the invisible. Restores the arcane external mystery of beauty. It fascinates with the sensual charisma of forms, hiding the mystery on the surface. On the surface of painting, a mirror not of reality, but of its idea. An idea of the real, therefore, to cloak a poetics: thus a bucket containing two lemons tells us of a past, of a distant childhood; and, also, the same bucket with the same lemons, resting on a stump reminiscent of a Greek capital, makes itself feel full of remembrances; so a child, curled up in a vaguely fetal position, pines us with an echo of lost motherhood; a young woman absorbed, perched on a chair, does not look at us and keeps silent about the irreversible mystery of an elsewhere (she has lost or is lost? we are not far from the laconic atmosphere of an Atom Egoyan film);

The many cracks in an old vase speak of time and corruption; the shrill green of a prickly pear cactus distracts us, with a shocking appeal, to the limits of pop; a rose reddens, a lily white: they will not touch in their suspended time; an agave in the foreground - wounded and offended - geometrizes the space, before the slight ripple of the sea; the flash of genius of a spectacular self-portrait in jeans. (the only work containing an explicit reference to contemporaneity) presents - in the background, almost muted - the evanescent and limited universe of the painter's family affections; in the clear morning light, a white bowl, on top of a white cloth, is just the pretext for showing off a prodigious virtuosity of candid elegance (sic et simpliciter); finally, a naked girl, lying in abandonment, sleeps dreamily (or mimics a sad omen of unconsciousness and selfforgetfulness?) Hypotheses, suggestions, ideas ... A poetics, cloaked by an idea of reality: the poetics of an artist who, as such, is a little painstaking and a little seer. Enzo Prestileo really carries within himself a strange mixture of voluntary discipline of asceticism and halogen (uncontrolled) clairvoyance. His more restless works, beyond the technical and aesthetic reflections mentioned in the beginning, tend to provoke, in an open and receptive spectator, subtle shivers, emotions snaking in the shadowy spheres of unconsciousness: down, where everything is confused and it has no name. Will it be an evoked memory or the ferment of a premonition? The artist, almost a magician, amazes us with his skill in "remaking" objects, people and landscapes, which enchantment - suddenly - materialize in our eyes, leaving us an indefinable sense of loss and satisfaction. A drop of bewilderment, a flood of satisfaction: and in fact, bathed by the special light of Massa and highlighted by the brackish, the works of Prestileo are beautiful, certainly beautiful. But this, today, can still be, for many, almost a nuisance.